Tutti gli anni, il giorno dopo l’americano Giorno del Ringraziamento, il mondo intero è bombardato da annunci sul Black Friday. Sconti, sconti e sconti di prodotti che probabilmente non ci servono davvero.
È un’usanza che nasce oltreoceano e che nel tempo ha conquistato tutto il mondo occidentale. Dalle grandi multinazionali alle piccolissime aziende locali, tutti si preparano al lanciare il proprio personalissimo Black Friday, un’occasione imperdibile per svendere prodotti, per effettuare liquidazioni massive e per applicare sconti differenziati a seconda dei prodotti.
Al di là dell’etimologia del termine, il Black Friday è entrato nell’immaginario collettivo come il giorno in cui le aziende puntano gran parte delle proprie energie per aumentare il fatturato e per proporre magari prodotti che altrimenti non avrebbero molto appeal o che di certo non vengono percepiti come necessari.
È la logica pubblicitaria che dagli anni ’50 non smette di essere vera: persuadere le persone ad acquistare oggetti non strettamente utili alla vita di tutti i giorni. I cosidetti bisogni indotti.
Ma cosa è cambiato in questi anni, cosa si è rotto nel meccanismo?
Le persone hanno capito le dinamiche del marketing
Non è difficile trovare sui social sempre più post, commenti e battute graffianti sul Black Friday. E se anche il Parlamento Francese si sta muovendo per metterlo al bando, e se nascono movimenti come Green Friday che addirittura lo combattono, qualcosa vorrà dire.
I consumatori, il target, non ha più voglia di esser preso in giro, sa perfettamente quali prodotti sono oggettivamente interessanti e sa riconoscere un affare indipendentemente dalle campagne di marketing. La crisi economica ha giocato sicuramente un ruolo importante in questa presa di coscienza, ma anche la globalizzazione e l’accesso istantaneo alle notizie hanno reso tutti più consapevoli del mondo in cui vivono, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza e dal livello di istruzione.
Siamo arrivati ad un punto cruciale: per strada, sui motori di ricerca e sui social siamo bombardati da pubblicità, da azioni di marketing e inviti all’azione da esserne completamente saturi.
E più i copy, i testi pubblicitari, sono articolati, simpatici, originali o apparentemente diversi e più sono soggetti a critiche se non rispettano un principio fondamentale: dire la verità.
Storytelling o meno, i copy hanno bisogno di reale autenticità
Autenticità significa andare dritti al punto, informare più che vendere, capire che chi ci legge non vuole perdere tempo in poemi epici che ormai non emozionano più, ma che semplicemente vuole avere subito un panorama chiaro delle mille offerte che si ritrova davanti agli occhi tutti i giorni, in modo da poter scegliere liberamente e decidere in che modo indirizzare le proprie limitate risorse efficientemente.
È incredibile quanto sia ciclica la storia: il Black Friday è il classico esempio di quanto si debba tornare indietro a quando gli annunci avevano concetti davvero ridotti all’osso, ma di una potenza impagabile.